Gli accessi venosi centrali in anestesiologia

L’inserimento di un accesso venoso è una procedura comune nella maggior parte dei pazienti ospedalizzati. La scelta del dispositivo più appropriato dipende dalle specifiche esigenze del paziente, con l’obiettivo di preservarne il patrimonio venoso e ridurre al minimo le complicanze, siano esse trombotiche, meccaniche o infettive, associate all’utilizzo del dispositivo. Un catetere venoso centrale (CVC) è definito tale quando la sua estremità terminale si colloca a livello della giunzione atrio-cavale o nella vena cava inferiore.

Le principali indicazioni per l’utilizzo di un CVC includono pazienti privi di altri accessi vascolari, in particolare quelli con vasculopatie, o coloro che necessitano di monitoraggio emodinamico, come la misurazione della pressione venosa centrale (PVC). Inoltre, il posizionamento di un CVC è indicato per la somministrazione di farmaci chemioterapici, sostanze vescicanti o flebolesive con pH estremo (<5 o >9) o osmolarità elevata (>600 mOsm/L), nonché per la nutrizione parenterale con osmolarità superiore a 800 mOsm/L.
Altre situazioni che richiedono un accesso centrale sono i trattamenti dialitici o aferetici, l’emodialisi, il pacing cardiaco transcutaneo e la necessità di infusioni multiple o ripetuti prelievi ematici.

Prima di procedere all’incannulamento, è fondamentale discutere con il paziente, se le condizioni lo consentono, la scelta del sito più appropriato. Secondo le linee guida SIAARTI (2018), è raccomandato eseguire un RaCeVA (Rapid Central Venous Assessment), una valutazione ecografica del patrimonio venoso centrale per identificare la sede ottimale in base a parametri come calibro, collassabilità, profondità, pervietà e rapporti anatomici con strutture sensibili (arterie, nervi, pleura). L’utilizzo dell’ecoguida durante il posizionamento del CVC è fortemente consigliato, in quanto riduce le complicanze e aumenta la probabilità di successo al primo tentativo.

Vie di accesso centrali convenzionali

La tecnica più comune prevede la puntura diretta di una vena di grosso calibro, come la succlavia, la giugulare o la femorale, seguita dall’avanzamento del catetere fino alla posizione desiderata. Nel caso delle vene succlavia e giugulare, l’estremità del catetere viene generalmente posizionata a livello della giunzione tra atrio destro e vena cava superiore.

  • vena giugulare interna destra: rappresenta il sito più frequente per l’incannulamento centrale. L’approccio ecoguidato è raccomandato dalle linee guida per ridurre le complicanze e migliorare l’efficacia della procedura;
  • vena succlavia: offre un minor rischio infettivo rispetto alla giugulare, ma presenta un’incidenza maggiore di pneumotorace. Nei pazienti con disturbi della coagulazione, la giugulare è preferibile poiché permette una compressione manuale efficace in caso di puntura accidentale dell’arteria carotide;
  • vena femorale: questa sede è spesso utilizzata in contesti di emergenza, come durante la rianimazione cardiopolmonare (RCP), grazie alla sua accessibilità. Tuttavia, comporta un rischio infettivo più elevato e non è adatta per la misurazione della PVC, poiché il catetere non raggiunge la vena cava superiore. Le indicazioni principali per la scelta della femorale includono l’urgenza, l’indisponibilità di altre sedi (ad esempio in caso di sindrome della vena cava superiore) o la necessità di emodialisi a breve termine con catetere ad alta portata.

Dopo il posizionamento di un CVC nelle vene giugulare o succlavia, è essenziale confermare la corretta collocazione dell’estremità del catetere. I metodi più utilizzati includono la radiografia del torace (la più comune), la fluoroscopia, l’ECG intracavitario o l’ecocardiografia transesofagea. Questa verifica è cruciale per prevenire complicanze come il posizionamento erroneo in sedi pericolose (ad esempio nell’arteria polmonare).

Via venosa centrale succlavia. Notare l’estremo distale (freccia) nella vena cava superiore, vicino allo sbocco nell’atrio destro.

Cateteri venosi centrali a inserimento periferico (PICC)

I cateteri venosi centrali a inserimento periferico, noti come PICC (Peripherally Inserted Central Catheters), rappresentano un’alternativa al cateterismo venoso centrale tradizionale. Questi dispositivi vengono posizionati attraverso una vena periferica dell’arto superiore, solitamente la vena basilica, brachiale o cefalica, con l’ausilio dell’ecografo per guidarne l’avanzamento fino alla vena cava superiore o all’atrio destro.

I PICC sono classificati come accessi venosi a medio-lungo termine, potendo rimanere in sede da sei giorni fino a sei mesi. Grazie alla loro stabilità e sicurezza, sono adatti per qualsiasi tipo di infusione, compresi farmaci chemioterapici, nutrizione parenterale e terapie antibiotiche prolungate. La loro flessibilità li rende particolarmente utili non solo in ambito ospedaliero, ma anche in contesti di assistenza domiciliare o nelle strutture di lungodegenza, dove il paziente necessita di un accesso venoso affidabile senza la necessità di ripetute punture.

Dal punto di vista delle complicanze, i PICC offrono diversi vantaggi rispetto ai cateteri venosi centrali tradizionali (CVC). Essendo posizionati in una vena del braccio, permettono una medicazione più stabile, riducendo il rischio di dislocazione. Inoltre, presentano un minor rischio di complicanze gravi come pneumotorace o punture arteriose accidentali, tipiche invece dei CVC inseriti in sedi come la succlavia o la giugulare.

Controindicazioni al posizionamento di CVC e PICC

Sebbene non esistano controindicazioni assolute al posizionamento di un catetere venoso centrale, alcune condizioni possono rendere più rischiosa la procedura o influenzare la scelta del sito di inserimento. Nel caso dei CVC tradizionali, i rischi sono spesso legati a:

  • anomalie vascolari che rendono difficoltoso l’accesso;
  • infezioni locali nella zona di puntura;
  • disturbi della coagulazione, che aumentano il rischio di sanguinamento.

Per quanto riguarda i PICC, le principali controindicazioni includono:

  • immobilità dell’arto superiore, che incrementa il rischio di trombosi venosa;
  • pazienti con insufficienza renale candidati alla creazione di una fistola artero-venosa per emodialisi. In questi casi, è preferibile evitare l’uso di PICC per preservare le vene del braccio, optando invece per un catetere venoso centrale tradizionale (CICC).

Complicanze del posizionamento di Cateteri Venosi Centrali (CVC)

L’inserimento di un catetere venoso centrale è una procedura invasiva che, sebbene generalmente sicura, può presentare diverse complicanze. Queste possono essere immediate (come emorragia o pneumotorace) o tardive (come infezioni o trombosi). La conoscenza di queste potenziali complicanze è fondamentale per prevenirle, riconoscerle tempestivamente e gestirle adeguatamente.

Infezione legata al catetere

Le infezioni correlate ai cateteri rappresentano una delle complicanze più frequenti e gravi. Possono manifestarsi come infezioni locali al sito di inserzione o come batteriemie sistemiche. Il rischio infettivo aumenta proporzionalmente alla durata del cateterismo e al numero di lumi del dispositivo.

Per ridurre questo rischio, è essenziale adottare rigorose misure di igiene durante l’inserimento e la gestione del catetere. L’utilizzo di tecniche sterili, la disinfezione accurata della cute e la regolare medicazione del sito di inserzione sono pratiche fondamentali. Nei pazienti che necessitano di cateterismo a lungo termine, la tunnellizzazione del catetere può rappresentare una valida opzione per ridurre il rischio infettivo.

Complicanze emorragiche

Le complicanze emorragiche possono verificarsi durante l’inserimento del catetere o nelle ore successive. Possono essere causate da:

  • puntura accidentale di strutture arteriose;
  • lacerazione delle pareti venose;
  • difetti della coagulazione nel paziente.

Particolare attenzione deve essere prestata nei pazienti con alterazioni della coagulazione, in cui il posizionamento in vena succlavia può essere particolarmente rischioso per la difficoltà di applicare una compressione efficace in caso di sanguinamento.

Pneumotorace

Lo pneumotorace rappresenta una temibile complicanza, soprattutto nel posizionamento di cateteri in vena succlavia. La vicinanza della pleura a questa sede anatomica spiega l’elevata incidenza di questa complicanza. L’utilizzo dell’ecoguida durante la procedura ha significativamente ridotto, ma non completamente eliminato, questo rischio.

Dopo il posizionamento del catetere in sedi a rischio, è sempre indicato eseguire un controllo radiografico o ecografico per escludere la presenza di pneumotorace, anche in assenza di sintomi clinici evidenti.

Malposizionamento del catetere

Il malposizionamento del catetere può verificarsi nonostante un corretto esecuzione tecnica della procedura. Le possibili manifestazioni includono:

  • deviazione in vene collaterali;
  • posizionamento in sedi inappropriate;
  • eccessiva avanzamento con irritazione delle strutture cardiache.

La verifica della corretta posizione mediante imaging (radiografia, ecografia o fluoroscopia) è quindi una tappa imprescindibile dopo il posizionamento del catetere.

Altre complicanze

Tra le complicanze meno frequenti ma potenzialmente gravi ricordiamo:

  • lesione del dotto toracico (in particolare con accesso giugulare sinistro);
  • trombosi venosa;
  • aritmie da irritazione miocardica;
  • tamponamento cardiaco (raro ma gravissimo).

La conoscenza approfondita di queste complicanze e delle strategie per prevenirle e gestirle è essenziale per garantire la sicurezza dei pazienti sottoposti a questa procedura.

Fonte: Manuale di anestesia e rianimazione. Concorso Nazionale SSM.

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