Valutazione e trattamento della cardiopatia ischemica: dalla diagnosi invasiva alla rivascolarizzazione

La cardiopatia ischemica rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità a livello globale. Il suo corretto inquadramento diagnostico e terapeutico richiede un approccio integrato che comprende l’identificazione delle stenosi coronariche mediante indagini non invasive o tramite coronarografia e, quando indicato, l’esecuzione di una rivascolarizzazione miocardica. Le due principali modalità di rivascolarizzazione sono l’intervento coronarico percutaneo (PCI) e la chirurgia di bypass aortocoronarico (CABG). La scelta della tecnica più appropriata si basa su criteri anatomici, funzionali e clinici, con l’obiettivo di migliorare la prognosi e la qualità di vita del paziente.

Coronarografia

La coronarografia è considerata il gold standard per la valutazione e quantificazione delle stenosi coronariche. Si tratta di una procedura diagnostica invasiva che rientra nell’ambito del cateterismo cardiaco. Viene eseguita introducendo un catetere arterioso, che può essere inserito attraverso l’arteria femorale o, preferibilmente, l’arteria radiale.

Negli ultimi anni, le linee guida internazionali raccomandano l’utilizzo dell’accesso radiale come prima scelta. Questo approccio è associato a un rischio inferiore di complicanze emorragiche, consente una più rapida mobilizzazione del paziente e risulta tecnicamente più semplice per via della facilità di compressione dell’arteria radiale.

L’accesso femorale, invece, è riservato a situazioni specifiche in cui quello radiale non sia praticabile, come nei pazienti in shock cardiogeno o in presenza di anomalie vascolari periferiche. In questo caso, il catetere viene avanzato in senso retrogrado lungo l’arteria iliaca esterna, l’iliaca comune, l’aorta addominale e l’aorta toracica, fino a raggiungere il bulbo aortico e incannulare gli osti coronarici.

Dopo l’incannulazione dell’ostio del tronco comune sinistro, viene iniettato mezzo di contrasto iodato, che permette di visualizzare con fluoroscopia l’albero coronarico sinistro (tronco comune, ramo discendente anteriore e ramo circonflesso) in varie proiezioni. La stessa procedura viene poi ripetuta per la coronaria destra. Questo consente di analizzare l’anatomia e il decorso delle arterie coronariche, nonché di identificare eventuali lesioni aterosclerotiche che si manifestano come restringimenti (stenosi) del lume vascolare.

Le stenosi coronariche vengono considerate emodinamicamente significative e potenzialmente suscettibili di rivascolarizzazione se determinano una riduzione del lume superiore al 70%. Tuttavia, nel caso del tronco comune, una stenosi è già considerata severa con una riduzione del lume superiore al 50%.

Coronarografia che mostra:

  • a sinistra l’angiografia dell’albero coronarico sinistro (TC: tronco comune, ADA: arteria discendente anteriore, Cx: arteria circonflessa);
  • a destra l’angiografia dell’albero coronarico destro (CD: coronaria destra).

Indicazioni alla coronarografia

La coronarografia trova indicazione in numerose condizioni cliniche, tra cui:

  • angina stabile che non risponde alla terapia medica ottimale;
  • positività al test da sforzo con criteri indicativi di alto rischio ischemico;
  • dolore toracico atipico o di natura incerta, in cui altri test diagnostici non hanno fornito risposte definitive;
  • sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI), con rischio molto alto, alto o intermedio: la tempistica della coronarografia varia in base alla stratificazione del rischio;
  • infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), per l’esecuzione di un’angioplastica primaria o, in caso di trombolisi sistemica, per la coronarografia di routine nelle prime 24 ore;
  • cardiomiopatia dilatativa in cui sia necessario escludere un’eziologia ischemica reversibile.
  • valutazione preoperatoria in previsione di intervento di sostituzione valvolare, nei pazienti di sesso femminile di età superiore a 55 anni o maschile sopra i 45 anni, soprattutto in presenza di fattori di rischio cardiovascolare o sospetta cardiopatia ischemica;
  • arresto cardiaco extraospedaliero con rianimazione riuscita, poiché in circa il 30% dei casi rappresenta la prima manifestazione clinica di infarto miocardico acuto.

Tecniche di rivascolarizzazione coronarica

La rivascolarizzazione coronarica ha lo scopo di ripristinare un adeguato flusso di sangue al miocardio in presenza di stenosi coronariche significative. Esistono due modalità principali: la rivascolarizzazione percutanea (PCI, percutaneous coronary intervention) e la chirurgia di bypass aortocoronarico (CABG, coronary artery bypass grafting).

La scelta tra le due tecniche dipende da diversi fattori: il numero e la localizzazione delle lesioni coronariche, la complessità anatomica delle stesse, la funzionalità ventricolare sinistra, la presenza di comorbidità come il diabete mellito e la vitalità del miocardio da rivascolarizzare. La rivascolarizzazione ha dimostrato di migliorare i sintomi e la qualità di vita dei pazienti con cardiopatia ischemica cronica. È efficace nel risolvere l’angina nel 90% dei casi in cui sia possibile una rivascolarizzazione completa, ma ha senso solo se il miocardio è ancora vitale: in presenza di necrosi estesa, infatti, la procedura non offre benefici funzionali.

Intervento coronarico percutaneo (PCI)

La PCI è una procedura mini-invasiva che presenta un profilo di rischio generalmente basso, con una mortalità inferiore all’1% e un’incidenza di complicanze maggiori intorno all’1,5-2%. Tra queste, la dissezione dell’intima coronarica è una delle più frequenti: può essere corretta durante la stessa procedura oppure, nei casi più gravi, richiedere un intervento chirurgico d’emergenza.

PCI con impianto di stent

La procedura, come nella coronarografia, prevede l’introduzione di un catetere attraverso un’arteria periferica, in genere l’arteria radiale o femorale, fino alla coronaria stenotica. A questo punto si gonfia un palloncino posizionato sull’estremità del catetere per dilatare la stenosi (angioplastica). Nella maggior parte dei casi, l’angioplastica è seguita dall’impianto di uno stent coronarico, una struttura metallica espandibile che mantiene il lume arterioso aperto.

La PCI ha un tasso di successo tecnico iniziale superiore al 90%. Tuttavia, nelle prime generazioni, il tasso di restenosi (restringimento ricorrente) raggiungeva il 30–45% entro i primi 6 mesi. Con l’introduzione degli stent medicati (drug-eluting stents, DES), che rilasciano farmaci antiproliferativi per inibire la neoendotelizzazione patologica, il tasso di restenosi è sceso al 5-15% nei casi attuali, migliorando significativamente gli esiti a medio termine.

Chirurgia di bypass coronarico (CABG)

La rivascolarizzazione chirurgica consiste nell’eseguire uno o più pontaggi vascolari che collegano porzioni sane dell’albero coronarico, aggirando i segmenti stenotici. Vengono utilizzati innesti arteriosi o venosi: quelli arteriosi, in particolare l’arteria mammaria interna (AMI) e l’arteria radiale, sono preferiti rispetto alle vene (tipicamente la safena interna) per la loro maggiore durata e permeabilità nel tempo.

Tradizionalmente, l’intervento viene eseguito mediante sternotomia mediana e con l’ausilio della circolazione extracorporea, che prevede l’arresto cardiaco temporaneo (indotto con soluzione cardioplegica) e la deviazione del flusso sanguigno verso una macchina cuore-polmoni. Tuttavia, in molti centri oggi è possibile effettuare bypass senza circolazione extracorporea (“off-pump”) o tramite accessi mini-invasivi come le minitoracotomie, soprattutto in caso di rivascolarizzazioni isolate (ad esempio della discendente anteriore).

TC multistrato e ricostruzione tridimensionale che mostra la permeabilità dei bypass aorto-coronarici

L’arteria mammaria interna sinistra è il vaso di scelta per il bypass della discendente anteriore, grazie alla sua prossimità anatomica e alla maggiore sopravvivenza associata al suo utilizzo. L’AMI è un ramo dell’arteria succlavia che decorre parallelamente allo sterno lungo la parete toracica anteriore e si anastomizza distalmente con l’arteria epigastrica superiore, contribuendo a una rete vascolare toraco-addominale. Quando si utilizza l’AMI sinistra, spesso si conserva la sua origine dalla succlavia, collegando solo il suo tratto distale all’arteria coronarica target. Al contrario, per l’AMI destra, più distante, è spesso necessario reciderla dalla succlavia e anastomizzarla direttamente all’aorta o, in alternativa, alla controparte sinistra.

Dopo un intervento di bypass coronarico, è fortemente raccomandata l’inclusione precoce del paziente in un programma di riabilitazione cardiovascolare, idealmente entro 30 giorni, al fine di ottimizzare il recupero clinico, funzionale e psicologico.

ParametroPCI (Intervento coronarico percutaneo)Bypass Chirurgico (CABG)
Mortalità e successoMortalità <1%
Successo iniziale >90%
Mortalità <1%
Successo iniziale >90%
IndicazioniMalattia monovasale
Malattia bivascularizzata
Malattia trivasale se funzione ventricolare conservata e paziente non diabetico
Stenosi di un bypass preesistente
Restenosi di stent già impiantato
Lesione del tronco comune >50%
Malattia trivasale, soprattutto con disfunzione ventricolare, diabete o lesioni coronariche complesse
ComplicazioniMaggior rischio di restenosi
Nefropatia da mezzo di contrasto
Maggior rischio di infarti periprocedurali
In presenza di disfunzione ventricolare, mortalità maggiore

Fonte: Manuale di cardiologia, chirurgia vascolare e cardiochirurgia. Concorso Nazionale SSM.

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