La sindrome latte-alcali è una condizione clinica che, nonostante sia stata descritta per la prima volta diversi decenni fa, continua a rappresentare un’importante causa di ipercalcemia iatrogena, cioè indotta da un eccesso di assunzione volontaria o prescritta di calcio e antiacidi alcalini. Spesso poco riconosciuta, può manifestarsi con sintomi variabili e potenzialmente gravi, rendendo fondamentale la sua conoscenza per medici e pazienti.

La sindrome prende il nome dall’abitudine di utilizzare latte (come fonte di calcio) e antiacidi alcalini (come bicarbonato o carbonato di calcio) per trattare condizioni come la gastrite o l’ulcera gastrica. L’assunzione eccessiva di queste sostanze provoca un aumento anomalo della quantità di calcio nel sangue (ipercalcemia), associato ad alcalosi metabolica (aumento del pH del sangue) e insufficienza renale.
In passato, questa sindrome era molto più frequente per l’uso massiccio di latte e antiacidi nel trattamento dell’ulcera peptica. Oggi, nonostante l’uso di farmaci più moderni, è ancora possibile in chi assume integratori di calcio o antiacidi in modo inappropriato o in dosi eccessive.
Le cause e i meccanismi
La sindrome latte-alcali si sviluppa principalmente a causa dell’eccessiva assunzione di calcio associata all’ingestione di basi alcaline, come bicarbonato o carbonato contenuti negli antiacidi. Questi due fattori agiscono insieme, scatenando una serie di alterazioni fisiopatologiche che portano ai tipici squilibri elettrolitici e metabolici della sindrome.
In condizioni normali, il calcio viene assorbito dall’intestino in quantità regolata finemente dal corpo, che ne controlla anche l’escrezione attraverso i reni e il deposito nelle ossa. Quando però si assumono dosi elevate di calcio, ad esempio tramite integratori o antiacidi a base di carbonato di calcio, il livello ematico di calcio può aumentare al di sopra dei limiti fisiologici. Questo fenomeno è noto come ipercalcemia. L’ipercalcemia può avere effetti tossici, soprattutto a livello neurologico e renale, e rappresenta il cuore della sindrome latte-alcali.
Parallelamente, l’assunzione di basi alcaline come il bicarbonato porta all’aumento del bicarbonato nel sangue, determinando uno squilibrio noto come alcalosi metabolica. Questa condizione si caratterizza per un innalzamento del pH ematico, che altera l’equilibrio acido-base del corpo e modifica il modo in cui i reni gestiscono gli elettroliti. In particolare, l’alcalosi favorisce un maggiore riassorbimento del calcio a livello renale, riducendo la quantità di calcio eliminata con le urine.
La combinazione di ipercalcemia e alcalosi metabolica, quindi, crea un circolo vizioso: il calcio in eccesso peggiora la funzione renale, mentre l’alcalosi fa sì che i reni non riescano a smaltire efficacemente il calcio, determinando un’ulteriore accumulo di calcio nel sangue. Inoltre, l’ipercalcemia induce poliuria, cioè un aumento della produzione di urina, che provoca disidratazione. La disidratazione a sua volta riduce la filtrazione glomerulare e peggiora ulteriormente la capacità dei reni di eliminare il calcio, aggravando il quadro.
Altri fattori possono contribuire allo sviluppo della sindrome latte-alcali, tra cui la presenza di insufficienza renale preesistente o l’assunzione di farmaci che influenzano il metabolismo del calcio o la funzione renale. La combinazione di questi elementi fa sì che alcuni pazienti siano più vulnerabili a sviluppare questa condizione rispetto ad altri.
Sintomi
I sintomi della sindrome latte-alcali derivano principalmente dall’ipercalcemia e dall’alcalosi metabolica che caratterizzano questa condizione, oltre che dalle alterazioni della funzione renale che ne conseguono. Questi sintomi possono variare da lievi a gravi e coinvolgono diversi sistemi organici.
A livello neurologico, l’ipercalcemia può causare una serie di disturbi che vanno dalla semplice astenia e affaticamento fino a sintomi più gravi come confusione mentale, cefalea e sonnolenza. Nei casi più severi, può manifestarsi uno stato di alterazione dello stato di coscienza, con confusione marcata o addirittura coma. Questi sintomi sono il risultato dell’effetto diretto dell’eccesso di calcio sul sistema nervoso centrale.
Dal punto di vista gastrointestinale, molti pazienti lamentano nausea, vomito e costipazione. Questi disturbi sono spesso i primi segnali che indicano un problema metabolico in corso, e possono aggravare lo stato generale di malessere.
A livello renale, l’ipercalcemia ha un effetto diuretico iniziale che porta a poliuria, cioè un aumento della produzione di urina. Questo può provocare disidratazione e squilibri elettrolitici secondari, complicando ulteriormente la situazione. Con il progredire della sindrome, la compromissione renale può evolvere in insufficienza renale, riducendo la capacità del rene di filtrare e regolare i liquidi e gli elettroliti.
Le alterazioni elettrolitiche sono comuni: oltre all’ipercalcemia, possono presentarsi ipokaliemia (bassi livelli di potassio) e ipocloremia (bassi livelli di cloro), spesso correlate alla disidratazione e all’alcalosi metabolica. Questi squilibri contribuiscono ai sintomi neurologici e muscolari, come debolezza e crampi.
Diagnosi
La diagnosi della sindrome latte-alcali si basa su un’attenta integrazione di dati clinici, anamnestici e di laboratorio. Uno degli elementi chiave è l’anamnesi dettagliata, che deve indagare l’assunzione di calcio e antiacidi alcalini da parte del paziente. Spesso, infatti, il sospetto nasce proprio quando si viene a sapere che il paziente ha consumato quantità eccessive di integratori di calcio o antiacidi, magari anche in modo autonomo e prolungato nel tempo.
Dal punto di vista clinico, la presenza di sintomi neurologici (come confusione e astenia), gastrointestinali (nausea, vomito, costipazione) e renali (poliuria o insufficienza renale) in un paziente con una storia di assunzione di calcio e basi alcaline orienta fortemente verso questa diagnosi.

Gli esami ematici sono fondamentali per confermare il sospetto: si riscontra quasi sempre un quadro di ipercalcemia che è il segno distintivo della sindrome. A questa si associa spesso un’alcalosi metabolica, evidenziabile dall’aumento del pH e del bicarbonato nel sangue, che riflette l’eccesso di basi assunte. È inoltre frequente osservare alterazioni della funzione renale, con aumento della creatinina e riduzione della filtrazione glomerulare, specialmente nei casi più avanzati.
È importante escludere altre cause di ipercalcemia, come l’iperparatiroidismo primario o l’ipercalcemia da tumori (ad esempio metastasi ossee o produzione ectopica di PTHrP), mediante esami specifici come la misurazione del paratormone (PTH) e indagini radiologiche. In caso di sindrome latte-alcali, infatti, i livelli di PTH sono solitamente bassi o normali, poiché l’ipercalcemia è dovuta a un’assunzione eccessiva esterna e non a una produzione eccessiva interna.
Trattamento
Il trattamento della sindrome latte-alcali si basa principalmente sull’interruzione immediata dell’assunzione di calcio e basi alcaline, che sono la causa scatenante dell’ipercalcemia e dell’alcalosi metabolica. Sospendere queste sostanze è il primo passo fondamentale per interrompere il circolo vizioso che mantiene elevati i livelli di calcio nel sangue e peggiora la funzione renale.
Uno degli aspetti più importanti della gestione clinica è la correzione della disidratazione, che spesso accompagna questa sindrome a causa della poliuria indotta dall’ipercalcemia. La somministrazione di liquidi per via endovenosa, generalmente soluzioni fisiologiche, aiuta a migliorare la perfusione renale, aumentare la filtrazione glomerulare e favorire l’eliminazione del calcio attraverso le urine. Un’adeguata idratazione contribuisce inoltre a correggere gli squilibri elettrolitici e a ripristinare un equilibrio idro-elettrolitico corretto.

Nei casi più gravi o quando l’ipercalcemia non si risolve con la sola idratazione e l’interruzione dell’assunzione di calcio, si possono utilizzare farmaci specifici. Tra questi, i bisfosfonati rappresentano un’opzione efficace per ridurre rapidamente il calcio plasmatico, agendo sul metabolismo osseo e inibendo il riassorbimento osseo che contribuisce all’aumento del calcio ematico.
Altri farmaci come i diuretici dell’ansa (ad esempio furosemide) possono essere impiegati per aumentare l’escrezione urinaria del calcio, ma devono essere utilizzati con cautela e solo dopo un’adeguata idratazione per evitare un peggioramento della disidratazione.
Il monitoraggio costante dei parametri clinici ed ematici è essenziale durante il trattamento, per valutare la risposta terapeutica, correggere eventuali squilibri elettrolitici residui e prevenire complicanze. In presenza di insufficienza renale severa o complicanze gravi, può rendersi necessario il ricorso a terapie più avanzate, come la dialisi.
Prevenzione e consigli pratici
La prevenzione della sindrome latte-alcali si basa soprattutto su un uso consapevole e moderato degli integratori di calcio e degli antiacidi contenenti basi alcaline. È fondamentale che i pazienti, soprattutto quelli con fattori di rischio come insufficienza renale, età avanzata o condizioni croniche, evitino l’assunzione prolungata o eccessiva di questi prodotti senza controllo medico.
Un primo consiglio pratico è quello di consultare sempre un medico prima di iniziare terapie a base di calcio o antiacidi, soprattutto se si ha una storia di patologie renali o metaboliche. La valutazione clinica e gli esami ematici possono aiutare a stabilire se l’assunzione di calcio è realmente necessaria e a quale dosaggio, evitando così sovraccarichi.
È altresì importante informare il paziente sui rischi legati all’abuso di antiacidi e integratori e sulla necessità di attenersi alle dosi raccomandate. Spesso, la sindrome latte-alcali si sviluppa proprio a causa di un uso improprio o autonomo di questi prodotti, senza supervisione medica.
Per chi è a rischio, un’attenzione particolare deve essere posta alla corretta idratazione quotidiana, per facilitare la funzione renale e prevenire la formazione di ipercalcemia e alcalosi. Inoltre, monitoraggi regolari dei livelli di calcio e della funzione renale possono aiutare a intercettare precocemente eventuali alterazioni prima che si manifestino sintomi clinici.
In ambito clinico, è utile che i medici adottino un approccio educativo, spiegando ai pazienti l’importanza di uno stile di vita equilibrato e di una corretta gestione dei farmaci e integratori. Questo include anche il controllo di eventuali interazioni farmacologiche che possono influenzare il metabolismo del calcio.
Fonti: