Fonte: Wikipedia

Lepatite C è una malattia infettiva, causata dall’Hepatitis C Virus (HCV), che colpisce in primo luogo il fegato (epatite).
L’infezione è spesso asintomatica, ma la sua cronicizzazione può condurre alla cicatrizzazione del fegato e, infine, alla cirrosi, che risulta generalmente evidente dopo molti anni. In alcuni casi, la cirrosi epatica potrà portare a sviluppare insufficienza epatica, cancro del fegato, varici esofagee e gastriche.

Si stima che circa 71 milioni di persone al mondo siano infettate cronicamente dal virus dell’epatite C. Il virus persiste nel fegato di circa l’85% delle persone infette. Questa infezione persistente può essere trattata con numerosi farmaci, alcuni giunti a disposizione solo dal 2015. Con i farmaci più moderni si può avere la guarigione in oltre il 90% dei pazienti trattati.
Chi ha già sviluppato la cirrosi o il cancro del fegato (epatocarcinoma) beneficerà molto meno del trattamento farmacologico e pertanto per questi pazienti in fase avanzata potrebbe essere necessario un trapianto di fegato. Non esiste ancora un vaccino specifico contro questa infezione.

Il virus, scoperto nel 1989, famiglia di Flaviviridae, è costituito da un capside; il genoma è costituito da RNA virale a singola elica formato da diversi geni: geni S che codificano per proteine strutturali, gene C che codifica per la proteina del core, geni E1 ed E2 che codificano per proteine dell’envelope, geni NS (da 2 a 5) che codificano per vari enzimi come proteasi, elicasi ecc.
Il genoma dell’epatite C va spesso incontro a mutazioni per via della RNA polimerasi che genera un sacco di errori e sono stati identificati 6 genotipi differenti, il tipo 1 è il più diffuso in Italia, responsabile della forma clinica severa e resistente a INF.

TRASMISSIONE

La via di trasmissione principale del virus è legata all’uso di droghe per via endovenosa, mentre nei paesi in via di sviluppo le cause maggiori sono le trasfusioni di sangue non sicure e le procedure mediche.

Il virus dell’epatite C, sebbene con frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell’epatite B e/o dell’HIV, si trasmette per via sessuale. Tale trasmissione avviene solo se durante l’atto vi è scambio di sangue. Non sono infettanti né lo sperma, né la saliva, né le secrezioni vaginali. La coinfezione HIV-HCV aumenta il rischio di trasmissione sessuale di HCV così come la presenza di altre malattie sessualmente trasmissibili, come herpes simplex labiale e genitale, gonorrea e trichomoniasi vaginale.

La trasmissione verticale del virus dell’epatite C da una madre infetta al suo bambino avviene in meno del 10% delle gravidanze. Non è chiaro in quale momento della gravidanza possa avvenire la trasmissione, ma sembra che possa verificarsi sia durante la gestazione, sia al momento del parto.
Non vi è alcuna prova che l’allattamento al seno possa essere causa di trasmissione del virus, tuttavia, a scopo cautelativo, si consiglia di evitarlo se i capezzoli sono sanguinanti, o se la carica virale risulti elevata.

Nel 40% dei casi la trasmissione è per via sconosciuta.

PATOGENESI

Una volta raggiunta la cellula epatocitaria, l’HCV entra nella cellula tramite il legame con un recettore, viene incluso nel citoplasma dove tutto il ciclo vitale si svolge, a differenza di quanto accade per il virus dell’epatite B che va nel nucleo dell’epatocita, quindi è possibile l’eradicazione del virus con terapia antivirale.
Nel citoplasma inizia la trascrizione con la formazione di una poliproteina che viene processata dalle proteasi e si formano le diverse proteine strutturali dell’HCV, avviene la replicazione dell’RNA ed infine l’assemblaggio e la formazione dei nuovi virioni che alla fine vengono secreti in circolo.
Il danno epatico è immunomediato e la cronicità deriva dalla possibilità di mutare facilmente ed eludere i sistemi di difesa.

SINTOMI

I tempi medi di incubazione sono di circa 42 giorni (da 2 a 26 settimane), nel 75% dei casi l’infezione è asintomatica mentre nei restanti casi esordisce con sintomi aspecifici come febbre, malessere, nausea ecc, ma anche con altri specifici quali ittero.
Le indagini di laboratorio mostrano transaminasi ALT elevate.

Se persiste per oltre 6 mesi diviene stato di portatore cronico, la biopsia e l’esame ecografico evidenziano flogosi e fibrosi lieve che porta in 20-30 anni a cirrosi e in 10 anni a epatocarcinoma; i soggetti più a rischio sono gli HIV+ e gli alcolisti.

I portatori sani in realtà sono soggetti altamente viremici ed in grado quindi di trasmettere la malattia, ma sono del tutto asintomatici e mostrano transaminasi e biopsia normali.

  • Infezione acuta. L’infezione da epatite C provoca sintomi acuti nel 15% dei casi. Essi sono generalmente lievi e vaghi, tra cui una riduzione dell’appetito, stanchezzanausea, dolori articolario muscolari e perdita di peso. La maggior parte dei casi di infezione acuta è accompagnata da ittero. L’infezione si risolve spontaneamente nel 10-50% dei casi e più frequentemente in individui giovani e di sesso femminile.
  • Infezione cronica. Circa l’80% delle persone esposte al virus sviluppa un’infezione cronica. La maggior parte prova pochi o nessun sintomo durante i decenni iniziali dall’infezione, generalmente solo un po’ di affaticamento.
    Dopo numerosi anni, l’epatite C cronica può portare allo sviluppo di cirrosi epatica e cancro al fegato. Circa il 10-30% delle persone manifesta cirrosi dopo oltre 30 anni di malattia, in particolar modo i pazienti coinfettati con epatite B o HIV, alcolisti e di sesso maschile. Coloro che sviluppano cirrosi hanno un rischio 20 volte maggiore di carcinoma epatocellulare, e se questi sono anche forti consumatori di alcool, il rischio diventa 100 volte maggiore.
    L’epatite C è causa, in tutto il mondo, del 27% dei casi di cirrosi epatica e del 25% dei casi di carcinoma epatocellulare. La cirrosi epatica può condurre a ipertensione portaleascite (accumulo di liquido nell’addome), ecchimosi o sanguinamento, varici (vene dilatate, soprattutto nello stomaco ed esofago), ittero, e una sindrome da deficit cognitivo conosciuta come encefalopatia epatica. Si tratta di una condizione che può richiedere il trapianto di fegato.

DIAGNOSI

Ci sono una serie di test diagnostici per l’epatite C, tra cui: il test ELISA, il test western blot e la verifica della presenza di RNA virale tramite reazione a catena della polimerasi (PCR). L’RNA del virus può essere rilevato tramite PCR tipicamente da una a due settimane dopo l’infezione, mentre la formazione degli anticorpi può richiedere più tempo e quindi inizialmente possono non essere rilevati.

L’epatite C cronica è definita come l’infezione da virus dell’epatite C, individuato in base alla presenza del suo RNA, persistente per più di 6 mesi. Le infezioni croniche sono in genere asintomatiche durante i primi decenni e quindi vengono più frequentemente scoperte in seguito a indagini effettuate dopo una rilevazione di elevati livelli di enzimi epatici o nel corso di un’indagine di screening in individui ad alto rischio.

  • Diagnosi sierologica. Il test per l’epatite C tipicamente comincia con l’analisi del sangue per rilevare la presenza di anticorpi contro l’HCV grazie a un test immunoenzimatico ELISA e RIBA. Se questa verifica ha esito positivo, un test di conferma viene quindi eseguito per verificare l’immunodosaggio e per determinare la carica virale. L’immunodosaggio è valutato mediante un test immunoenzimatico ricombinante, mentre la carica virale viene invece determinata con una reazione a catena della polimerasi (PCR) effettuata sull’RNA del virus HCV. Sono necessarie circa 6-8 settimane dall’infezione affinché l’immunodosaggio dia risultato positivo.
    Gli enzimi epatici, in particolar modo l’alanina transaminasi (ALT), sono variabili durante il periodo iniziale dell’infezione e in media cominciano a salire a partire dalla 7ª settimane successiva all’infezione. Il dosaggio degli enzimi epatici è quindi scarsamente correlabile alla gravità della malattia.
  • Biopsia. Biopsie epatiche vengono utilizzate per determinare il grado di danno al fegato, tuttavia la procedura comporta dei rischi e nell’1-5% dei casi richiede l’ospedalizzazione. I cambiamenti tipici osservati sono un’infiltrazione linfocitaria all’interno del parenchima epatico, la presenza di follicoli linfoidi localizzati a livello della triade portale e l’alterazione dei dotti biliari. Vi sono anche un certo numero di esami del sangue disponibili per tentare di determinare il grado di fibrosi epatica e diminuire la necessità di effettuare biopsie.
  • Utilità, inoltre, riveste anche l’elastografia epatica con fibroscan, esame ecografico non invasivo effettuato per misurare la rigidità epatica.
Grafico di progressione dell’infezione da HCV. A sinistra soggetto acuto che va incontro a guarigione, a destra soggetto con cronicizzazione.

TRATTAMENTO

L’infezione può risolversi senza alcun trattamento nel 30% dei soggetti, in genere quelli sintomatici, indice di attività del sistema immunitario nei confronti dell’infezione (entro 3 mesi).
Ai pazienti affetti da epatite C cronica, si consiglia di evitare l’assunzione di alcol e di farmaci tossici per il fegato. È raccomandata inoltre la vaccinazione contro l’epatite A e l’epatite B. Ecografie di sorveglianza per il carcinoma epatocellulare sono raccomandate nei pazienti che sviluppano cirrosi.

In generale, il trattamento farmacologico è consigliato nei pazienti con alterazioni epatiche provocate dal virus.

La terapia con INF era indicata in stati di epatite cronica attiva e cirrosi allo stadio A di child. INF ha attività antiproliferativa e veniva somministrata 3 volte a settimana per 6-12 mesi con remissione totale nel 25% dei casi e 50% di recidiva in seguito a sospensione della terapia. Una terapia più efficace è INF pegilato perchè ha clearance ridotta ed elevata emivita (somministrato solo 1 volta a settimana). La terapia è positiva se: si ha la normalizzazione delle transaminasi e soprattutto la scomparsa HCV-RNA nel siero. La terapia con INF è sconsigliata in presenza di altre sindromi sistemiche gravi come: diabete mellito, morbo di wilson, cardiopatie, emocromatosi, steatosi o epatiti autoimmuni.

Nel 2013, la FDA ha approvato definitivamente il farmaco sofosbuvir per il trattamento dell’epatite C. Questo ha un’azione diretta sul virus. La durata della terapia si riduce infatti a 3-6 mesi contro i 6-12 mesi dei precedenti trattamenti; l’efficacia nella eliminazione del virus tende fino al 100% dei casi; il fatto che si tratti di farmaci orali e soprattutto l’assenza di interferone e degli effetti collaterali connessi è molto importante. Purtroppo questi nuovi farmaci sono molto costosi e, con l’obiettivo finale di favorire l’accesso alle nuove terapie per tutti i pazienti affetti da epatite C cronica e garantire al tempo stesso la sostenibilità del SSN, si è reso necessario individuare una strategia di accesso modulata sulla base dell’urgenza clinica al trattamento.

I nuovi farmaci attualmente utilizzati sono i farmaci ad azione diretta (Direct Antiviral Agents: DAA) in base al genotipo del virus (pangenotipici) e garantiscono la discesa dei livelli di RNA virale a valori non rilevabili dopo 12-24 settimane dalla sospensione del farmaco quasi del 100% nei genotipi 1, 2 e 4 specie se senza cirrosi. Consentono una terapia di breve durata (fino anche a 8 settimane), non necessitano di Ribavirina e hanno minori effetti avversi e sono ben tollerati.
Questi farmaci sono costituiti da antivirali che inibiscono le proteasi (NS3/4), la replicazione e l’assemblaggio (NS5A) e la polimerasi dei virioni (NS5B).

PREVENZIONE

Sono validi gli standard delle prevenzioni per le ematiti: norme igieniche, uso di strumenti sterili, protezione nei rapporti sessuali a rischio.

Non è ancora disponibile un vaccino efficace nella prevenzione dall’infezione da parte del virus dell’epatite C.

Una combinazione di strategie per la riduzione del rischio, come l’utilizzo di aghi e siringhe monouso, hanno fatto diminuire del 75% il rischio di trasmissione di epatite C nei tossicodipendenti per via iniettiva.
Nei paesi in cui c’è un insufficiente fornitura di siringhe sterili, i farmaci dovrebbero essere somministrati preferibilmente per os piuttosto che con iniezioni, al fine di ridurre il rischio di trasmissione interumana.

Il test di screening è raccomandato nei soggetti ad alto rischio, tra i quali quelli che hanno tatuaggi ed è consigliato anche negli individui che presentano un aumento ingiustificato degli enzimi epatici, dal momento che questa condizione è spesso l’unico segno di epatite cronica.

Fonte: Wikipedia.

Fonte: Manuale di malattie infettive.

Di Raffo

Ciao a tutti, mi chiamo Raffaele Cocomazzi e sono il cofondatore di BMScience. Sono appassionato di Scienza, Medicina, Chimica e Tecnologia. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Foggia e attualmente specializzando in Medicina Nucleare presso l'Alma Mater Studiorum (Università di Bologna). Per contattarmi o maggiori informazioni seguimi sui vari social.